26 gennaio 2017

Innamorarsi a Milano.



Era la metà degli anni sessanta, si incontrarono a Milano e nonostante la nebbia si videro così bene che si amarono da subito. Decisero di sposarsi alla fine di quello stesso anno.
Lui veniva dall’Irpinia. A Milano c’era rimasto un anno e poi se ne era andato in Germania a lavorare alla Ford. Era una faccia da cinema, di un uomo talmente buono che poteva permettersi di somigliare persino a uno appena uscito dal “Padrino”. Alla Ford un giorno un altro operaio gli si avvicinò e gli disse: “Kennedy kaputt!” e lui cordialmente rispose “E ‘sti cazzi”.
Dopo circa due anni tornò a Milano a lavorare alla Metropolitana e conobbe lei, che veniva da Roma. Una ragazza dolce. A sei anni era stata adottata, si era impegnata negli studi e aveva appena vinto il concorso nazionale per le Poste.
Era stata tanto brava che al concorso arrivò prima e decisero che una così andava bene per il nord.
Qualche anno fa ero seduta alla loro tavola, a festeggiare il figlio Stefano la sera dopo il Natale. C’era il calore, come sempre, come ogni volta che ti fermavi anche solo per un attimo. Ci raccontarono proprio di quegli anni, dei primi appuntamenti, della timidezza, le gaffe, delle risate e i sacrifici. Della prima figlia che, piccina, si ammalò e dell'immagine che lui non dimenticò mai della sua bimba in un letto d'ospedale. Ricordo il sapore buono del vino e dei racconti e le mie guance rosse.


Da Milano, dopo qualche anno, vennero qui al Circeo, lei con un trasferimento, lui all’avventura, pronto a una nuova vita. Si dedicò, in quegli anni di esplosione edilizia, alla costruzione di impianti elettrici e aprì un negozio di riparazioni e mi ricordo le estati dopo la scuola che andavo a trovare Stefano che stava in laboratorio tra frigo e lavatrici.
Lo trovavo, suo figlio, intento a lavorare, più che per passione per la meccanica, noi che d’inverno traducevamo il greco e il latino e ascoltavamo i Cure, per la passione per suo padre.
Lei è sempre stata la mamma dei suoi quattro figli e di tutti noi che passavamo di lì. Certe estati ospitavano  così tanti amici e parenti che qualcuno finiva a dormire sul balcone perché dentro non c’era più posto. Giù in giardino il tavolo per mangiare era immenso e c’era pure l’orto e ho conosciuto in quelle occasioni e ai picnic sul monte Circe così tante persone diverse e indimenticabili, per provenienza, storia, militanza…


Ricordo gli anni in cui uno dei figli cominciò a scrivere per “Avvenimenti”, uno dei più bei settimanali che abbia mai letto e che uscì, all’avanguardia su tutti, persino in edizione per non vedenti. E di quando per la prima volta entrai in quella redazione, bellissima, come se entrassi un po’ a casa mia tanto ne avevo sentito parlare.
A casa loro si respirava sempre l’aria del mondo, si parlava di Occhetto e Berlusconi, di Bush e Pinochet mentre si condiva la pasta col sugo e si piegava il bucato appena ritirato.
Non li ho mai visti arrabbiati. Hanno sempre attraversato ogni inevitabile difficoltà, anche le più avverse, come se ci fosse di peggio nella vita.

Da qualche tempo lui se ne è andato, lieve e gentile come il timbro della sua voce. Con Stefano, quando tra i tanti impegni di due ragazzini che ormai sono diventati adulti riusciamo a sentirci, certe volte parliamo anche di lui. Questa estate mi ha scritto una cosa, a proposito di suo padre. Che i genitori, quando chiudono gli occhi continuano a vivere nel pensiero dei propri figli e lo stesso sarà per noi. Così che restituiamo la vita a chi ce l’ha donata e ne avremmo in cambio un'altra da coloro a cui l’abbiamo data. 
Tutto il resto è festa, un picnic pure in pieno inverno.





ingredienti per le pizze fritte campane
un kg di impasto per pizza (io faccio questo qui)
200 gr di passata di pomodoro
500 gr di mozzarella
uno spicchio d'aglio
origano
sale
olio per friggere 

Dividere l'impasto della pizza in una ventina di palline, da riporre su una teglia ricoperta di cartaforno. Fare lievitare le palline coperte con un canovaccio in un posto caldo (d'inverno può andare bene il forno spento con la lucina accesa)almeno per un paio d'ore.
Nel frattempo, tagliare la mozzarella e lasciarla scolare in uno scolapasta. Insaporire la passata con aglio, sale e origano.
Una volte lievitate bene, stendete le palline dando una forma circolare. Al centro ponete un cucchiaio di ripieno di pomodoro e mozzarella e chiudete a mezzaluna. Ripiegate i bordi e premete coi rebbi di una forchetta per sigillare. Friggere in olio caldo.


4 commenti:

Debora ha detto...

Ecco. Finalmente sei tornata. Col tuo solito passo lieve e le parole che bene ritraggono atmosfere e sensazioni. Con le tue storie così piene di semplicità e bellezza da rimanere uniche. Che sia per un pic nic, per una merenda o una cena, torna più spesso amica mia, ché qui si rimane incantati a leggere e gustare...

Valentina ha detto...

*Debora, sapere di essere attesi da chi ci vuole bene, in qualunque posto e con qualunque tempo, è sempre un buon motivo per continuare a tornare...

Alessia ha detto...

Immagino le grida dei gabbiani del Circeo superare le finestre e le tende bianche svolazzanti ed entrare nei discorsi sulla politica e tra forchettate di pasta al sugo. Bellissimo il tuo racconto. Ora potrei dirti io quanto ho aspettato un tuo nuovo post, ma in realtà mi piace pure questo senso di libertà che ti appartiene. Ben vengano le attese, così ricompensate. Tanti baci a te e alla tua Ingrid, che un giorno emozionata leggerà i tuoi pensieri, Ale

Valentina ha detto...

*Alessia, sì...chissà cosa penserà Ingrid un giorno nel leggere le cose della mamma e, a volte, ritrovare in queste la sua infanzia! Ho pensato che l'avevo promesso anche a te di tronare, l'ho pensato molte volte.

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