29 novembre 2011

Marlen, la pioggia e lo spezzatino alle prugne in Rio de Janeiro.

Marlen veniva tutte le mattine per le pulizie e per farci trovare la tavola piena di cose buone. Eravamo a Rio, era il '99 e mi trovavo in una favela di quasi tre milioni di abitanti. Era Natale e ogni tanto si sentivano dei colpi sparati in aria. Non era per le feste. Mi spiegarono che era il segnale per gli spacciatori che era arrivata una nuova partita da piazzare.
Marlen viveva nella casa accanto alla nostra. Aspettava ogni volta che scendessi in cucina per darmi il buongiorno e ogni mattina mi diceva che ero bella come le attrici delle telenovelas. Mi chiedeva di restare lì, di non essere cattiva e farla piangere andando via.
Il giorno di Natale avevo un magone. Ero lontana da casa da un po' e la nostalgia aveva preso il sopravvento. E lei oltre alla tavola imbandita mi aveva fatto trovare il mio regalo. Un canovaccio che aveva ricamato con le sue mani. Ho pianto in bagno.
Le colazioni preparate da Marlen erano di frutta e centrifughe appena fatte di mango, papaya, piccole banane, ananas, cocco fresco e delicato. Poi il latte, il caffè americano (l'unico che ancora oggi mi piace) e pane caldo, marmellate e una cosa che io non capivo cosa fosse. Pensavo panna liquida e l'ho versata nel cappuccino, che così corretto faceva veramente schifo. Infatti erano fermenti, non panna, quelli che pochi anni dopo avrebbero invaso anche noi per pance gonfie e intestini pigri.
Marlen aveva una certa età e io dentro di me la chiamavo Monciccì perché mi ricordava la scimmietta di quando ero piccola. Aveva un uomo, un bel ragazzo più giovane di lei di qualche lustro e, a quanto pare, così innamorato da aver lasciato la precedente moglie per stare sempre attaccato a lei, a Monciccì.
Quando sono andata via, su quel pulmino scarcagnato che mi portava in aeroporto, ha pianto davvero, con quel grande fazzoletto bianco che sventolava e poi strofinava sugli occhi.
Io e Marlen non ci siamo mai raccontate niente. Lei mi aspettava al mattino per ripetermi quella frase, sempre la stessa e io sempre la guardavo sorridente e stupita. Poi andava via, aveva rammendato e cucinato e attraversava il portico per andare a sfaccendare a casa sua.
Rio, la città, mi spiazzava ogni giorno. Così tremenda ed esuberante che ci contagiava tutti di bellezza e tristezza.
Un giorno mi fermo a mangiare in un posto dove si mangia 'a kilo', a peso. Prendo carne, perché quella brasiliana era sempre  buona come non l'avevo mai mangiata. Un spezzatino cremoso, tenero, con i pinoli e le prugne, meraviglia della cucina esotica.
A quello spezzatino ho pensato ogni tanto, quel sapore morbido e nuovo. Mi ha fatto spesso pensare alla pioggia improvvisa che ogni tanto cadeva e faceva abbassare il bollore dell'aria, forse perché uscita da lì mi ritrovai proprio sotto l'acqua.
Non l'ho  detto mai a Marlen di quello spezzatino.
Eppure per me Rio è la pioggia improvvisa, quel sapore, Marlen.



ingredienti
dose per una persona

P1000954.JPG 200 g di spezzatino
mezza cipolla bianca
mezzo litro di brodo
10 prugne secche
20 g di pinoli
un po' di vino rosso
2 cucchiai di olio
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di amido di mais
sale qb

Mettere le prugne secche a mollo in acqua tiepida per una ventina di minuti. Nel frattempo preparare il brodo mettendo a bollire in acqua una cipolla, una carota e una costa di sedano.
Far scaldare a fuoco basso in una casseruola la cipolla tritata in due due cucchiai di olio. In una padellina mettere a scaldare i pinoli un minuto, quindi versarli in casseruola aggiungendo anche le prugne e lo spezzatino. Alzare la fiamma e far rosolare, spruzzando poi un po' di vino rosso. Quando il vino si sarà asciugato, aggiungere un cucchiaino di amido di mais, il brodo e un cucchiaino scarso di zucchero, abbassare la fiamma e coprire con un coperchio. Far cuocere lentamente per circa mezz'ora o almeno finché si arrivi a una consistenza cremosa. Lasciar riposare un po' i sapori prima di mangiare.

23 novembre 2011

La cuoca di Buenaventura Durruti.

"Natale è alle porte, abbiamo deciso di preparare un po' di frittelle. E' l'ultima volta che cuciniamo, e molte di noi le impastano di lacrime. Domani si parte per una missione di sangue e speranza, stanotte invece, ci sporcheremo le mani di farina, di zucchero, di cannella e d'amore."

Nadjeta, detta Nadine, lascia gli studi di medicina, decide di non seguire la sua famiglia amata che fugge in Francia e da Bilbao va a Barcellona. E' il 1932 e si combatte contro la dittatura. Nadine si arruola nella colonna Durruti e impara a usare le armi. Arrivano gli opuscoli e i documentari clandestini di anarchici e comunisti, il femminismo si fa strada, si discute su idee vecchie e nuove, sui piani di resistenza, sui pro e i contro Durruti, si studiano i nuovi arrivati. Da tutta Europa arrivano per combattere, ma tra di loro anche possibili traditori. Occorre essere attenti. E intanto i franchisti sparano e bombardano e diffondono morte. Guernica è sotto gli occhi del mondo.
Nadine si esercita a tirare con la pistola, canta e canta insieme alle compagne canti di resistenza e di gioia e cucina e scrive raccontando giorni di ordinario coraggio e di sconforto, mentre gli avvenimenti calcano la storia, i cuori della gente sempre di più odiano "la peste fascista" , il fronte popolare francese appoggia la rivoluzione, arrivano da ogni parte per combattere, denunciare, documentare.
Nadine cucina per tutti le ricette che troviamo nel diario "La cuoca di Buonaventura Durruti. La cucina spagnola al tempo della 'guerra civile'. Ricette e ricordi", suddiviso, come fosse un menu, in entrate, piatti di mezzo e dessert. 




Questo libro non esisterebbe se non fossero stati casualmente ritrovati dei fogli anonimi, manoscritti, in una vecchia libreria anarchica di Zurigo, la Pinkus, in mezzo a documenti sulla guerra civile spagnola. Era il 1970 e si decise di mettere ordine ai fogli e di ricostruire, senza intervenire troppo, i giorni e la storia di Nadjeta e dei suoi compagni. Nella prefazione di Luigi Veronelli leggiamo che le ricette sono state rimaneggiate solo quel poco che serve a renderle realizzabili per tutti.
E lo ringraziamo, perchè poterle mettere in pentola è per me l'occasione di andare in un altro luogo e in un tempo diverso, dove esistevano solo coltelli e colini e passaverdura. E pestai, basta. Così immagino che tutto aveva un aspetto diverso e non tradirò Nadine con niente che non si serva altro che della meccanica delle mie mani e delle braccia, di strumenti semplici e ingredienti semplici e di un cuore grande fatto per condividere, prendersi cura, proteggere.

"Siamo andati all'assalto, cantando, tra i fiori e i venti profumati dell'estate, adesso, stiamo assistendo impotenti, alla fine. E' stato tutto un sogno, un sogno antico e necessario a cui non siamo stati in grado di conferire la saggezza dei fatti e l'evidenza della storia, ma molti un giorno, dovranno chinare il capo e vergognarsi per averci abbandonato. Gli addii sono lunghi e tristi, i compagni delle Brigate Internazionali se ne stanno andando alla spicciolata, di malavoglia, ed è un pò come morire."

Ottantasei portate, altrettanti giorni di vita vissuta tra granate e ideali, mai vinti dentro e sempre pronti a brindare alla libertà di essere umani. 
Quando Barcellona cade, il gruppo si deve dividere e si beve insieme l'ultimo vino che sa di sangue e anarchia. Insieme per l'ultima volta cantano. We few, we happy few, we, band of brothers(Noi pochi, noi pochi e felici, noi, banda di fratelli).  

Grazie a te per avermelo regalato. Saprò farne buon uso.


22 novembre 2011

La via dei mirtilli. Jamie Oliver e i suoi morbidi "sexy swedish buns".


A volte ho l'impressione di essere riuscita a prenderla quell'onda lunga e regolare che ti porta a riva lenta.
Così domenica mattina mi alzo presto e contenta di uscire, nonostante le poche ore di sonno. 
L'autobus non passa, neanche nell'altro senso tanto per dare segni di vita, ma sento che non fa niente. Oggi non fa niente, penso, perchè una volta tanto sono con me in attesa anche due amici e decidiamo di farci una lunga camminata, belli stretti nei cappotti a difenderci da un'aria fredda di tramontana.
E poi tutto è andato proprio bene, lento e caldo, in qualche modo. Pomeriggio di lungo sonno profondo, in cui ho sognato il luogo dove più sono stata contenta di lavorare, in un'aria nordica dove tutti avevamo in mano delle tazze di tè bollente per scaldarci e parlavamo in allegria. 

Al risveglio è successo qualcosa, ma non ho permesso che mi turbasse, che mi rubasse qualcosa di intimo di cui sentivo bisogno da tanto. E così ho ricevuto un regalo: Jamie Oliver. E già, perchè io la tv  la guardo davvero poco e soprattutto la guardo disorganizzata, così non mi capita spesso di incontrarlo. Ma stavolta l'ho beccato proprio lì dove sto per andare, proprio nel paese in cui più di tutto ora mi piacerebbe stare: la Svezia!
E più che mai solare e ispirato, Jamie ha trasmesso ricette da acquolina a scorrimento veloce, seduto in un giardino con la foresta alle spalle, sulla cassa delle munizioni delle guardie reali e in una casetta con sauna accanto al lago, dove ci si va a tuffare nudi appena usciti dai vapori.
E' così che ieri, sono uscita in cerca di mirtilli...





ingredienti
7 g di lievito in polvere
375 ml di latte tiepido
1 cucchiaino di semi di cardamomo macinati
800 g di farina 00 + quella per spolverare
50 g di burro fuso + qualche fiocchetto
2 uova grandi
75 g di zucchero grezzo di canna
un pizzico di sale

per il ripieno:
400 g di mirtilli
75 g di zucchero
1 arancia


Sciogliere il lievito nel latte tiepido e mettere da parte. In una ciotola capiente battere le uova con un pizzico di sale, aggiungere poi il cardamomo, lo zucchero, il burro fuso, amalgamando bene per ogni nuovo ingrediente. Versare poi 500 g di farina e il latte con il lievito avendo cura di impastare fino ad ottenere un impasto omogeneo e colloso. Aggiungere i 300 g di farina restanti, lavorare bene con le mani infarinate e spolverare di farina la palla di impasto ottenuto. Lasciare riposare al caldo per lameno un'ora o finchè non abbia raddoppiato di volume.
In una ciotola mettere i mirtilli e lo zucchero e cominciare a schiacciare con le mani. aggiungere la scorza di mezza arancia gratuggiata e una bella spruzzata di succo e continuare a schiacciare. Foderare una teglia con carta da forno, aggiungere qualche fiocco di burro e metà dello zucchero di canna.
Spolverare di farina la pianatoia, versare l'impasto lievitato con le mani lavorarlo fino ad ottenere un rettangolo di dimensioni un po' maggiori di un foglio A4. Versare metà dei mirtilli, ripiegare su se stessi i lembi dell'impasto così da intrattenere i mirtilli. Poi piegare ancora e lavorare, come si può vedere nel filmato. Tagliare infine in otto parti uguali, prendere ciascun panino, allungarlo e attorcigliarlo su se stesso. Anche se sembra un mostriciattolo poi verrà bello e buono! Adagiare le otto brioche attercigliate sulla teglia, con un dito fare una conchetta al centro di ogni brioche e inserire i rimanenti mirtilli premendoli delicatamente. Spolverare con la scorza dell'arancia rimanente e il resto dello zucchero. Coprire con un panno umido e lascaire riposare ancora 20 minuti. Continuano a crescere! Infornare a 180° C per 25-30 minuti, finchè saranno ben dorati e croccanti.



9 novembre 2011

Tutto scorre. E che sia zucca con i ceci, ecco!

Ebbene sì, questo è proprio il mondo dell'impermanenza, del "tutto scorre" e del fiume in cui non ci si può bagnare due volte. E così quelle che erano certezze, rassicuranti nel loro ripetersi previste e prevedebili,  a un certo punto vengono a mancare. Ma va bene. Così si cambia e si tira fuori dell'altro e non ci s'annoia. Ed è andata proprio così, quando a fine agosto mi son sentita dire proprio da lui: "mo basta, non mangio più carne!".
Eraclito, quello del fiume e del panta rei di cui sopra, me lo sono sempre immaginato un buon vecchio greco in tunica bianca e folta barba lanosa (che fantasia, èh?), mentre snocciola olive e accompagna le conversazioni tra amici (che forse mai avrebbe immaginato di lasciare alla storia, manco fosse, che ne so, fabrizio corona) con un buon bicchiere di vino e formaggio di capra. Allora mi son chiesta se in realtà la saggezza non sia proprio nell'essere piccoli e semplici.
E allora, per la carne che manca, si guarda ai semplici, a quello che la terra ci offre senza troppe ingiustizie.
E' venuta fuori così questa crema per condire la pasta, in cui ho unito la zucca avanzata dall'esperimento di ieri con i piccoli ceci, buoni e pieni di proteine che ci danno la forza per affrontare tali incredibili imprevisti! ;)


Tutto scorre. E che sia zucca con i ceci, ecco!


ingredienti
per 4 persone

300 g di zucca
200 g di ceci già lessati
3 cucchiai di olio e.v.o.
1 rametto di rosmarino
1 cipolla bianca
1 mestolo di brodo vegetale
1 cucchiano di cacao amaro in polvere
100 di parmigiano grattugiato(facoltativo)
400 g di penne
sale

Far scaldare la cipolla affettata sottile nell'olio, aggiungere la zucca tagliata a pezzetti, i ceci e un rametto di rosmarino. Far rosolare un paio di minuti, salare e aggiungere  un mestolo di brodo. Proseguire la cottura a fuoco lento, così che zucca e ceci diventino morbidi. Nel frattempo mettere a bollire l'acqua e cuocere la pasta. Con una forchetta schiacciare il condimento così che diventi una crema e continuare la cottura finchè non raggiunge una consistenza abbastanza densa e compatta. Condire la pasta e spolverare con il parmigiano.

8 novembre 2011

Cake semolino e zucca. E sentire che è autunno.

Più di tutte le altre l'autunno mi piace, m'incanta, mi trattiene in sè e se ne resta in ricordi in cui mi rivedo più che mai una "squaw" che balla sulla terra e rifiuta il suo nome. L'autunno esprime una potente e misteriosa facoltà di tenere insieme la fine di un ciclo e le nostre ripartenze, i colori di tramonti densi, delle foglie gialle, arancio, bordeaux, di agrumi, zucche, melograni e l'oscurità di nubi improvvise e cariche, delle feste dei morti e notti di streghe. La ragione dei nostri progetti e delle buone intenzioni e dei nuovi passi e il sentimento di passaggio, di sonni e sogni più lunghi e ristoratori, di bisogno di conforto.
L'autunno quando finalmente arriva mi porta un regalo, un bisogno di rifugiarmi eppure restare capace di liberare un'esuberanza arancione al contatto con l'aria di fuori.
Così ieri ho visto una ricetta che mi è girata a girandolina in testa così che non vedevo l'ora di arrivare, comprare la zucca, trovare un'idea per cambiare la farina integrale in qualcos'altro, visto che mi ricordavo di non averne più ed essendo merce rara nei paraggi di casa. Così ho mantenuto la farina di grano duro e ho aggiunto semolino, il giallo semolino, invertendo le dosi originali, immaginando di tenere vivo così il colore di questa stagione. Esperimento riuscito...
P.S. La ricetta di Carolina però la faccio presto, così come ce la tramanda lei!

Cake semolino e zucca. E sentire che è autunno.

ingredienti
240 g di zucca
100 g di farina si semola
200 g di farina 0
3 uova
150 ml di olio d'oliva
200 di latte
100 di parmigiano
1 bustina di lievito
2 rametti di rosmarino
i semini della zucca
sale

Far cuocere la zucca a vapore. Una volta cotta schiacciarla con una forchetta fino a ridurla in purea e lasciarla raffreddare. Nel frattempo battere leggermente le uova con una presa di sale, l'olio e il latte. Aggiungere la zucca, le farine e il lievito setacciati, il parmigiano, il rosmarino tritato. Imburrare e infarinare uno stampo da cake, versare il composto e spargere i semini della zucca sulla superficie. Infornare in forno preriscaldato a 180° C e cuocere per 50 minuti.

7 novembre 2011

Ti voglio bene, stupidina! E il riso al latte finisce nel cioccolato bianco.

Ti voglio bene, stupidina! E il riso al latte finisce nel cioccolato bianco.

Puppi Puzzi, la nipotina treenne con un diavolo per capello, era tutta eccitata dall'arrivo della sottoscritta zia. Quando, tra guance accaldate, palòle e palòle e salti da ballerina che solo gli stivali speciali che lei ha la fortuna di portare ai piedi riescono a farti fare, si china verso la Cianina, sorellina baciccia aggrappata al divano in quanto ancora incapace della posizione eretta, le  mette due dita sulle guance e scuotendole il visetto le fa: "ti voglio bene, stupidina!".
Per non parlare delle piccole, affettuose torture che Puppi mi ha insegnato e che la Cianina si lascia pazientemente fare, tipo: passargli il dito avanti e indietro tra le ditina dei piedi per 'pulirli' (questa perlomeno è la motivazione ufficiale), il sollecolo (solletico, nota del traduttore) sotto il collo per farla ridere a crepapelle che resta quasi senza respiro, nonchè delle tenerissime storie di streghe, mostri e lupi cattivi raccontate per farla addormentare.
Così ieri pomeriggio, tornata a casa e a una vita un po' meno sconsiderata, goliardica e trasgressiva, pioggia sui vetri e intorno sonnacchioso silenzio, ho preparato la degna merenda: il riso al latte, buonissimo, ma con l'aggiunta del cioccolato bianco per recuperare le energie dopo tanto impegnativo giocare...


ingredienti

1 litro di latte
120 g di riso Arborio
2 cucchiai di zucchero
1 baccello di vaniglia
120 g di cioccolato bianco
sale q.b.

Far cuocere il riso in acqua salata per 3 minuti, scolarlo e passarlo nel latte portato ad ebollizione. Far cuocere per 30 minuti insieme allo zucchero e alla vaniglia, mescolando frequentemente per evitare che il fono attacchi. Trascorso questo tempo, unire il cioccolato fatto in pezzi, continuare a rimestare per qualche minuto finchè non si avrà la densità preferita. Trasferire in vasetti monoporzione. Si puo gustare sia caldo che come dessert freddo.
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