28 dicembre 2012

Il mercatino di Piazza Conca d'Oro.

Mercatino dell'Antiquariato
Piazza Conca d'Oro - Roma
Sabato e domenica dalle 9 alle 22
metro B1 - fermata Conca d'Oro










Forse in molti, a questo punto, non avranno proprio una grandissima voglia di cibo. O di cucinare...
Meglio uscire, approfittare di queste bellissime giornate di luce tersa e temperature miti, qui a Roma. 
Ci sono diversi mercatini di Natale in città, alcuni allestiti proprio per le feste. Ma oltre a questi si può comunque girare per i vari mercati a cadenza regolare, altrettanto vivaci.
Per esempio, nel quartiere Montesacro ogni fine settimana c'è il mercato di Piazza Conca d'Oro. L'ingresso è gratuito e, secondo me, rischia di accontentare parecchi foodblogger, sia per la presenza di stoviglie, piatti e vasellame di ogni prezzo e fattura, sia per il mercato alimentare in cui vengono venduti prodotti tipici regionali a un buon rapporto qualità/prezzo.
Anche se non nascondo la mia irresistibile attrazione per oggetti "seventy", tipo giocattoli, telefoni, macchine da scrivere, abiti...
Montesacro poi è un quartiere al quale sono affezionata, ci ho vissuto un bel periodo della mia vita, in una casa che (non so bene perché, non essendoci mai stata) molti miei amici definivano "argentina". La mia camera affacciava proprio su Piazza Menenio Agrippa, dove tutte le mattine si tiene il mercato della frutta e verdura. Le prime notti, verso le 4, mi svegliavo col rumore dei furgoni e degli uomini che scaricavano. Ma me ne feci ben presto una ragione, anzi, un'affezione.
Per andare al mercatino di Piazza Conca d'Oro ho preso per la prima volta la nuova linea della metropolitana B1 e quando, risalendo dai binari verso l'uscita, mi sono ritrovata in un atrio circolare, bellissimo, che porta lo sguardo dritto al cielo, è stato un momento un po' speciale, di quando sento un leggero smarrimento, per cui potrei trovarmi in un posto qualsiasi, dall'altra parte del mondo. Ma salgo le scale e sono di nuovo a casa.





























24 dicembre 2012

Di scatole segrete e conserve speciali: lemon confit.


Cianina, la mia nipotina duènne, ha un cofanetto dove conserva le sue cose. I tesori custoditi in questa scatola di cartone sono: una collanina con le perline di legno, una scarpetta di bambola color fucsia, un colore e il mio libretto di gongyo. Quest'ultimo è un libretto con la copertina di cartone in cui sono scritti due capitoli del Sutra del Loto che noi buddisti recitiamo la mattina e la sera. L'avevo lasciato a casa dei miei anni fa, così ogni volta che torno ce l'ho a disposizione.
Da un po' di tempo era sparito, ma non mi ero meraviglita considerato che girano per casa due tipe di due e quattro anni che hanno un gran da fare con tutto quello che non dovrebbero toccare.
Senonché due giorni fa, mentre ero indaffarata quanto mai in cucina, me la vedo passare, la Cianina, col famoso libretto in mano. Faccio la vaga e la seguo con lo sguardo. Si dirige in salotto borbottando qualcosa nella sua ancora, quasi sempre, incomprensibile lingua, agitando 'sto libretto.
Io la seguo e continuo a fare la vaga per capire il nascondiglio, finché non prende il cofanetto, vi ripone il libretto e torna alle sue cose!
La Cianina conserva gli oggetti importanti, quelli legati alle cose e alle persone speciali per la sua vita, in questa scatola ormai un po' malandata, ma piena di valore.
E' così che ho deciso di fare come lei e di conservare in un barattolo gli splendidi limoni del mio giardino, quello di cui vi raccontavo un po' di tempo fa. Per farne un dono a un'amica speciale, che ama i giardini, la cucina di casa e le storie piene di tenerezza.

P.s. Dimenticavo una cosa importante...auguri, auguri di cuore a tutti!!!




ingredienti
3 limoni grandi, del giardino (o comunque non trattati)
250 g di sale fino, circa


Lavare i limoni, asciugarli e tagliarli in rotelle sottili. In un barattolo sterilizzato, versare un primo stato di sale, qualche fettina di limone e poi ancora sale. Creare degli strati fino a riempire bene il barattoloDopo alcune ore, cominceranno a rilasciare acqua, creando così una salamoia che permetterà ai limoni di conservarsi in splendida forma, rilasciando un'aroma meraviglioso. Questa dei limoni sotto sale è una ricetta della tradizione marocchina. I limoni così conservati vengono impiegati poi nella preparazione del couscous, ma anche per insaporire carni e pesce.

19 dicembre 2012

Jo March e le ciambelline di birra e orzo.

Quando ero piccola guardavo Piccole donne. Poi ho scoperto che esisteva il romanzo e l'ho letto. Poi ho letto anche "Piccole donne crescono". E "I ragazzi di Jo". C'era pure "Piccoli uomini", ma mi sa che a quel punto, con tutto il rispetto, della Alcott ne avevo oramai abbastanza .
Naturalmente, di tutta la famiglia March, era Jo la mia preferita. Quella a cui avrei voluto somigliare, anzi, quella che sentivo uguale a me. Per la sua passione per la scrittura e una leggera irriverenza, per l'anticonformismo e la generosità, per la gentilezza, la timidezza taciuta e le risate argentine.
E poi per quei lunghi e lisci capelli biondi chissà che avrei dato...
Se, come me, vi siete appassionate a tutto il seguito della storia, saprete che alla fine Jo diventa una scrittrice e sposa un professore di filosofia più vecchio di lei. Io quest'uomo me lo sono sempre immaginato robusto, coi baffi, un parlare lento. L'unico in grado di mettere pace all'animo inquieto di Jo. Insomma, per una come me, il massimo del romanticismo, perché l'uomo bello e dannato non mi ha mai suscitato grandi entusiasmi. 
Alla fine io non sono diventata una scrittrice (anche se per lavoro spesso scrivo), i miei capelli sono rimasti castani e ribelli e non ho sposato un vecchio prof di filosofia (anzi, non ho ancora sposato nessuno, ora che ci penso...), però mi sento sempre quella ragazza lì, con in testa mille avventure, alla ricerca della mia soffitta dove scrivere in solitudine, con una timidezza vissuta sempre come cosa da nascondere e superare, la sensibilità che mi porta a sentirmi dentro mille persone, mille storie per cui tirare fuori una grande energia, una nuova avventura.
Ho preparato queste ciambelline poco fa, mentre contemporaneamente cercavo di terminare un articolo per il lavoro, e nell'impastare mi sono fatta questi stessi pensieri che ora sto raccontando a voi (pazienza, che avete!). 
Birra e orzo, zucchero di canna, un po' di latte...ciambelline ruvide e dolci, umili ma con un sapore pieno.
Regalatele a una Jo che conoscete, la conquisterete. Promesso!

P.S. La ricetta è di Sabrine, le dosi raddoppiate, la mia passione per lei sempre grande!




ingredienti
300 g di farina 00
100 d di farina d'orzo integrale
8 cucchiai di zucchero di canna ((più altri 4 per decorare)
9/10 cucchiai di birra
8/9 cucchiai di olio e.v.o.
1 cucchiaino di bicarbonato
latte per spennellare


In una ciotola versate tutti gli ingredienti secchi, aggiungere l'olio e la birra e cominciare a mescolare con un cucchiaio. Impastate poi velocemente con le mani, formate una palla e riponete in frigo per 15 minuti.
Stendere con un mattarello una sfoglia di 7/8 mm (anche 1 cm per me!). Tagliare le ciambelline e adagiarle su una teglia ricoperta di carta da forno. Spennellarle con il latte e spolverarle di zucchero. Cuocere in forno preriscaldate a 180°C per 10 minuti, capovolgere poi le ciambelline e continuare la cottura ancora per 7/8 minuti. Lasciarle asciugare nel forno spento aperto o su una gratella.

14 dicembre 2012

Hot Toddy, pleeease!



Non so da quale paese mi stiate leggendo, ma sappiate che qui a Roma è inverno, un vero inverno con le nuvolette che escono al mattino dalla bocca, mentre cerco di scaldare le mani soffiandoci su. La luce è più bella di qualunque altro momento. Roma è bella. Nitida, definita.
E io ho un gran freddo, che mi tiene dritta e sveglia, ma anche piena di luce. Mi sento sempre luminosa prima di Natale e, nonostante la generale scarsa autostima, sono contenta di me per come sono andate le cose ancora una volta. Forse non ci sono troppi motivi per cui starsene a fare i salti di gioia (il mio contratto è in scadenza e a rischio). Però mi sento bene dentro e mi sento voluta bene da un sacco di persone, questo placa tante ansie.
E viste le premesse, "hot toddy, pleeese!". Perchè più fa freddo e più mi viene voglia non di sole, non di mare, ma di norvegian wood. Me ne starei a Bergen adesso, a guardare le barche nel porto dai vetri di un caffé, coi norvegesi con la pelle candida e le guance rosse che bevono e ridono.
Mi sento bene in mezzo a certe situazioni e di fronte al gelo, alle incertezze del futuro e alla voglia di stare insieme agli altri, io mi faccio un buon tè al whiskey e sono felice! 
E come l'uccellino norvegese della canzone dei Beatles, donna dei buoni legni del nord, volerò via, silenziosa, dopo attimi di gioia. 





ingredienti
per due persone
400 ml di acqua
1 cucchiaino di tè nero
2 piccole stecche di cannelle
6/7 chiodi di garofano
60 ml di whiskey (ma potete ridurre, se pensate!)
2 cucchiai di miele
2 fettine di limone


Mettete a bollire l'acqua con la cannella e i chiodi di garofano. Lasciare bollire per 5 minuti, spegnere, attendere un minuto per abbassare un po' la temperatura e lasciare in immersione un cucchiaino di tè nero per 4/5 minuti. Filtrare (se non avete usato l'apposito colino), togliere la cannella e i chiodi di garofano e aggiungere il whiskey. Versare in due bicchieri spennellati di miele e spremervi un po'di limone. Bere caldo, lentamente ed evitando il bis.



12 dicembre 2012

Besciamelle d'inverno con cavoletti di Bruxelles.

Ricettina veloce di metà settimana, di quando usciamo dal lavoro pensando solo a quel momento, a quando rientreremo a casa e accenderemo la radio, togliendoci le scarpe, con un sospiro lungo che vuol dire sempre: ok, anche oggi è andata. 
Dedicato a tutti quei pomeriggi in cui sappiamo benissimo di avere ben poco nel frigo, ma mai e poi mai allungheremmo il tempo del nostro rientro a casa per fare anche un minimo di spesa. 
Perché certe volte fa tanto bene sopravvalutarci e pensare che tutto sommato siamo un pozzo di inventiva...
Allora, cavoletti! Sì, proprio quelli che da piccola non volevo mangiare, mai. Proprio quelli che ora adoro e che non riscuotono le simpatie di nessuno che sieda alla mia tavola.
Ebbene, proprio voi, cavoletti di Bruxelles, m'avete ispirato, con il vostro nome a ricordarmi il piacere degli inverni continentali, proprio quando l'entusiasmo di dicembre ha preso come al solito un irresistibile sopravvento e in cucina mi metto al lavoro cercando i sapori del nord.
E' così che ho deciso di rendere giustizia a un cestino di cavoletti che languiva da qualche giorno in frigo in compagnia di poco altro. E ne è nata una besciamelle all'arancia e zenzero, che ha reso i cavoletti davvero felici, le cenetta sana e salva (basta accompagnarli con un buon formaggio o delle uova alla coque, tanto per mantenerci rapidi) e un'invenzione, la besciamelle d'inverno, che m'ha tanto, ma tanto soddisfatta! ;)





ingredienti
1 cestino di cavoletti di bruxelles (350 g ?)
sale grosso
1 noce di burro

per la besciamelle d'inverno
400 ml di latte di soia (o 450 ml intero di mucca)
1 cucchiaio di fecola di patate (o 2 cucchiai di farina)
la buccia di mezza arancia non trattata
3/4 cm di zenzero fresco grattuggiato
1 noce di burro
2 prese di sale grosso affumicato o sale grosso comune (va benone lo stesso!)

Mondare i cavoletti togliendo le foglie esterne se un po' coriacee e incidendo la base con un taglietto a croce. Lavare sotto acqua corrente e cuocere in acqua bollente salata per 15/20 minuti. Nel frattempo, preparare la besciamelle: in un pentolino antiaderente versare il latte e la fecola (o farina), girando bene in modo da farla sciogliere senza la formazione di grumi. Aggiungere la buccia di mezza arancia e la grattugia di un pezzo di zenzero fresco (io ne ho messo circa 4 cm). Salare con due prese di sale grosso affumicato e mettere sul fuoco. Rimestare fino a che non arriva il bollore. A quel punto continuare la cottura, sempre girando, per 2 o 3 minuti, fino a raggiungere la densità desiderata. Aggiungere una noce  di burro e togliere dal fuoco.
Scolare i cavoletti e, se si ha un minuto in più e la voglia di sporcare un'altra padella, farli "asciugare" un attimo rosolandoli con una noce di burro. Se si vuole velocizzare e lavare una padella in meno, si può benissimo procedere oltre.
In un tegame o una cocotte versare i cavoletti e ricoprirli con al besciamelle, a cui avremo tolto la buccia d'arancia. Infornare per 15 minuti a 150° C. C'est fait!

9 dicembre 2012

#1 Innamorarsi a Londra. The borough market.


The Borough Market
8 Southwark Street
London
www.boroughmarket.org.uk





















Innamorarsi a Londra può succedere, senza sapere perché. Può accadere di innamorarsi di tutto o di rendersi anche solo conto, il mattino stesso prima di tornare, che non ne vuoi stare troppo lontana.
E può accadere che qualcuno sogni di innamorarsi a Londra e ti dica, in qualche modo, di portare con te il suo cuore, di farlo volare fino alle sponde del Tamigi e lungo i posti che ha amato per riprovare quella stessa felicità impressa nei ricordi.
Quando si parte per Londra in valigia ci sono indirizzi, calze di lana, ritagli e mappe e, a volte, anche il cuore di qualcuno da portarsi dietro. 




Così la città diventa ancora più ampia e aperta e camminare ti porta lontano, ti porta a sentire che quello che vedi è già una storia da raccontare.
E' la città dove ognuno può sentirsi a casa e sentire al contempo di essere lontano, in fondo.




Poiché il profumo del curry, per me, e del pane anche, è romantico e unico, e i piccoli dolci da forno e i pezzi di cioccolato, anche loro per me sono incredibilmente romantici, al Borough Market ho passato un mattino in cui la parte più sensibile di me e l'immaginazione tutta, tutta quella di cui posso essere capace, sono caduti in amore, falling in love.


 















Vicino al London Bridge, a due passi dalla Tate, riunisce circa un centinaio di produttori e rivenditori diretti di cibo inglese e internazionale. Dal giovedì al sabato, vede la presenza di produttori ortofrutticoli, macellai e pescivendoli da tutta l'Inghilterra. E' un mercato comunale, tra i più antichi di Londra e ora si svolge in un'area coperta in una zona dove già nel 1014 si incontravano commercianti di cereali, pesce e bestiame.

I ragazzi del pesce che vedete qua sotto, sono amici miei. Non so come si chiamano, ma in questa città enorme, efficiente e produttiva, la gente in generale è parecchio friendly e quindi in molti c'hanno voglia di scherzare.
Così questi due english men hanno messo su un set in cui, mentre io e altri stavamo dietro alla macchina fotografica, ci hanno offerto il loro profilo migliore, mostrato la potenza del getto della pompa d'acqua e il vigore delle loro braccia, sorriso come distratti e infine cercato i nostri sguardi di ammirazione...





Chi pensa che l'Inghilterra sia solo cavoli e patate, sia solo fish & chips, qui potrà scoprire un banco di pomodori accostati tra di loro come un'opera d'arte, di tante varietà che io, tutte insieme, in Italia non le ho mai viste.
Potrà scoprire che tra i formaggi di cui non vorrebbe mai più fare a meno c'è il Cheddar e che i funghi più strani e meravigliosi non si trovano solo nel paese delle meraviglie o nel giardino della beat generation, ma anche qui.
E pane di così tante varietà e lingue di pizza buone, condite con sapienza, e poi halloumi, prosciutto patanegra, harissa, uova come uscite da un fumetto e carote pure, di tutti i colori.




Ho fatto una scorpacciata di assaggi, molti ti invitano a mangiare spuntini anche generosi. Ho fatto scorta di spezie che a Roma non riesco a trovare, come le cinque spezie cinesi e il cardamomo affumicato.
E il mio viaggio è proseguito in una zona che col cibo aveva a che fare parecchio tempo fa.
Ma questa è un'altra storia e ve la racconto, prometto, al più presto.

5 dicembre 2012

Shortbread the best in the world (parola di Jamie Oliver).


Non mi capita spesso, ma questo è uno di quei casi in cui non so da dove cominciare. Sono diverse le cose che vorrei dirvi e siccome qui, tra una cosa e l'altra, in realtà tutto ruota intorno alla cucina, parto da lì. Dai biscotti, perché ieri pomeriggio, in un impellente bisogno di sentire che il Natale si avvicina, ho infornato questi shortbread che, lo dice Jamie Oliver, sono i migliori del mondo.
Gli shortbread sono legati alla tradizione scozzese, all'ora del tè e ai pomeriggi freddi e piovosi. Sono biscotti che scaldano il cuore, possono essere conservati, senza che perdano la loro leggendaria fragranza, per un paio di settimane e, quindi, si prestano ad essere nella lista dei biscotti da fare per i regali di Natale. Possiamo sfornarli tranquillamente con qualche giorno di anticipo, lasciando ad altre ricette i turbamenti degli ultimi preparativi. 
E siccome questa ricetta promette di ottenere i migliori shortbread del mondo, Stefano, è proprio questa che voglio dedicarti, perché stavolta te la sei proprio meritata.
Allora, vi ricordate quanto accaduto qualche settimana fa alle foto e immagini del blog? Bene, l'header è ancora in costruzione (causa influenza del mio amico Maurizio che si è offerto di aiutarmi), le foto...bè, per le foto stavo pian piano rifacendo qualche ricetta con i nuovi scatti da ripubblicare, qualcosina l'abbiamo recuperata miracolosamente e già, sono sincera, mi sentivo di essere contenta così. Mancava solo un po' di tempo libero per potermi dedicare completamente alla cosa così da rimettere il più possibile tutto a posto.
Solo che è dall'inizio dell'anno che nella mia vita sopraggiungono eventi inaspettati e all'apparenza poco felici, che si rivelano, proprio quelli, la mia fortuna.
E ora che l'anno sta per terminare, è accaduto di nuovo. Così non solo, dopo il fattaccio, mi son decisa a fare un restauro generale, avrò un nuovo header come mi sarebbe sempre piaciuto,  mi sono resa conto, inoltre, di come i miei scatti siano importanti quanto tutti gli altri ingredienti, ma...Stefano, che mi vuole bene e voleva fare qualcosa per farmi sentire felice, ha dato libero sfogo alla sua mente illuminata e diabolica e...ha risolto il problema! Sì sì sì. Perché non c'è strada che resti chiusa, quando chi cammina è troppo curioso di proseguire il percorso.
Così è. Dopo poco la nascita della piccola locanda bianca, sono stata contatta da Paperblog, che mi ha invitata ad essere presente nelle sue pagine. Io ho accettato, poiché mi sembrava una cosa molto carina che qualcuno mi tenesse in conto, in uno spazio, tra l'altro, pieno di cose interessanti. Quindi tutti i miei post, con relative foto, si trovano sani e salvi proprio lì e io me ne ero completamente dimenticata! Questo fino a domenica, quando mi è arrivato il messaggio di Stefano con la soluzione del problema.
Ho fatto una prova, l'altro giorno, con la foto della focaccia di Recco e...funziona! Cliccare per credere, è stata caricata e ripubblicata così come l'originale!
Stefano, ti sono grata perché nonostante io sia una gran viaggiatrice, e tu lo sai, ci ho pure un pessimo senso dell'orientamento (e pure mi sa che te ne eri accorto). Però tu m'hai ridato la direzione giusta e, per l'ennesima volta, ti sono davvero profondamente grata.
Quindi questi shortbread sono dedicati a te, i migliori del mondo, su ricetta del mio cuoco preferito. Ma me li sono pappati io, ieri pomeriggio, insieme a un buon ginger caldo...:)




ingredienti
250 g di burro a temperatura ambiente 
250 g di farina 00
125 g di farina di mais
125 g di zucchero semolato fine o a velo


Con le fruste a media velocità, lavorare il burro con lo zucchero, fino a ottenere una crema liscia e morbida. Aggiungere delicatamente le farine, amalgamando bene con un cucchiaio. Stendere in una teglia infarinata, in modo da avere un impasto di 1,5 cm di spessore. Forare la superficie con uno spiedino di legno, in modo da ottenere il classico aspetto dei biscotti scozzesi. Infornare per 50 minuti in forno preriscaldato a 150°C.
Sfornare e ridare forma ai forellini, sempre con lo spiedino. Tagliare in rettangoli lunghi all'incirca un dito, quando la frolla non è ancora completamente fredda. Jamie consiglia di spolverare di zucchero quando è ancora caldo, ma io li trovo perfetti così!






1 dicembre 2012

Tapenade. E ogni piano di fuga andò in fumo.

Ammetto che da quando vivo a Roma in pianta stabile, ormai quattro anni, ho passato un bel po' di tempo a escogitare piani per salpare gli ormeggi.
Piani a volte timidi, come un semplice cambio di quartiere, con annesse ricerche su internet per valutare aree verdi, servizi, mercato immobiliare.
Per spingermi poi anche fuori dai confini metropolitani. E diciamo pure che Roma offre colli strepitosi nelle sue immediate vicinanze. 
Ma i piani più tenaci e ricorrenti sono stati senza alcun dubbio quelli che mi hanno portato a girare con la mente per l'Italia nascosta e semisconosciuta e bella in modo, secondo me, umile e commovente.
Tra i progetti duri a morire ci sono, infine, quelli che ci vedono, me Tonino e la Kina, in giro per l'Europa, con speciale predilezione per tutto quello che è a Nord. Parecchio a Nord.
Tutto questo sta lentamente (è innegabile) cambiando e mi sono ritrovata a notare più di una volta, ultimamente, che sto smettendo di progettare la fuga. Piano piano sto cominciando anche qui a sentirmi a casa.
Non vorrei essere fraintesa: come raccontavo a un'amica lontana, ma vicina nelle strade del cuore, Roma lascia in me delle sensazioni che credo nessun posto del mondo potrebbe restituirmi. L'ho attraversata negli ultimi sedici anni molto spesso a piedi, molto spesso da sola, in momenti di cambiamento, incertezza, riflessione. In momenti di fermento creativo, di entusiasmi più o meno giustificati e Roma era lì, a lasciarsi scoprire in vicoli ombrosi e umidi, nei silenzi inaspettati di un ponte sul Tevere, nei muri ricoperti d'edere a Trastevere.
Ma quella degli ultimi anni è stata per me una città spesso difficile e lontana e che mi ha fatto sentire, non poche volte, sola.
E' che ho smesso, però, di progettare la fuga nel momento in cui ho trovato la possibilità di costruire relazioni che non mi lasciavano dubbi. Relazioni che non lasciavano alcun dubbio sul fatto che io non potrei essere, in questo momento della mai vita, in un posto migliore di questo.
Questi incontri hanno tutti in comune un elemento che mai m'avrebbe lasciato presagire alcun sospetto: il blog. Eppure è vero, quando si legge di blogger che trasmettono la gratitudine per quello che il blog regala alla propria vita, non c'è retorica.
E così è stato che incontrare Rossella mi ha fatto sentire a casa. Stare con lei mi fa sentire di tornare, in qualche modo, da dove sono venuta e davvero senza più bisogno di evadere e le sono profondamente grata per tutto quello che c'è tra di noi, per tutto quello che è capace di trasmettermi.
E Serena, che se fossimo vicine di casa i nostri principi azzurri se ne andrebbero in giro con foto segnaletiche per capire in quale diamine di nuovo posto potremmo essere andate a cacciarci...
E poi c'è Laura, conosciuta ad ottobre in un giorno che a ripensarci mi sembra così vicino così lontano...
Un giorno in cui per andare in un posto arciconosciuto, dove avevamo appuntamento, sono stata capace di perdermi da subito, all'uscita della metropolitana, camminando svelta come una pazza per tutto il quartiere in cui non facevo altro che incontrare gente a spasso col cane che continuava a dirmi: "ssì, sì certo, lo conosco, dove si mangia siciliano...fa' tutta la strada fino in fondo e poi chiedi di nuovo, ché è lontano..."
Laura, sappi che quella sera, dopo essere state insieme per tutto il pomeriggio, una volta a letto non riuscivo a prendere sonno per come ero felice di averti conosciuta. E forse, chissà, proprio dopo quell'ultimo inconsapevole tentativo di fuga intorno a Piazza Bologna, proprio allora quasi quasi ho smesso di progettare la fuga...
In ricordo di quel pomeriggio e del Mediterraneo che tanto amiamo, ancora una volta questa tapenade, amica mia, è per te.

p.s. abbiate ancora un po' di pazienza per l'header, il povero Maurizio è a letto con l'influenza...mica l'avrò fatto stancare troppo? ._.
p.p.s. anche se ho più o meno accantonato i tentativi di fuga...emhh...se qualcuno volesse offrirmi una possibilità dalle parti di Brighton, per esempio...ecco, potrei anche rivedere le mie posizioni! ;)

























ingredienti
400 g di olive nere
un cucchiaio di capperi sotto sale
1 spicchio di aglio
5/6 acciughe sott'olio
4 cucchiai di pinoli
olio e.v.o. (circa tre cucchiai)
sale, solo se necessario

Denocciolare le olive, sciacquare le acciughe e i capperi sotto l'acqua corrente e sbucciare l'aglio, privandolo dell'anima centrale. Scaldare in un pentolino i pinoli perché rilascino gli oli essenziali. Mettere tutto in un contenitore e frullare. Aggiungere l'olio a filo (io faccio sempre ad occhio, ma tre cucchiai sono più che sufficienti), assaggiare per sentire se c'è bisogno di un'aggiunta di sale.








27 novembre 2012

Di foto smarrite, di altre ritrovate. E, soprattutto, di profonda amicizia.

Di foto, nella mia vita, a pensarci bene ne ho smarrite non poche, per diversi motivi. Foto regalate nell'entusiasmo del momento senza prima preoccuparmi di averne ancora i negativi, foto smarrite in traslochi, foto sottratte, scambiate, dimenticate in rullini mai sviluppati. E poi le foto rovinate da una tazza di caffè, da una caduta in acqua, da un ricordo da non ricordare più.  
Poi le foto digitali. Da scaricare su pc condivisi che non sono mai stati del tutto miei, da conservare in qualche cartella, ma senza troppa importanza perché, ho capito di recente, la carta per me è importante, uno schermo meno. Meno importante chissà perché, visto che negli ultimi due anni, quasi, attraverso questo blog, è proprio a uno schermo e una tastiera a cui affido le immagini, le storie, i sapori di una vita. 
E, come dicevamo, il fatto che un click mi abbia portato a perdere  tanto lavoro fotografico, mi ha fatto riflettere. Anzi, mi ha lasciato come un'amante lasciata all'improvviso, da uno a cui non mi ero mai presa la briga di dire "ti amo". 
In questi giorni mi sono rimessa al lavoro e, se mi sono fatta attendere, è perché ho un computer che lavora a manovella, perché ho dovuto prendermi del tempo per vivermi l'accaduto e poi perché stavo cercando di capire come volessi la nuova intestazione. 
In tutto ciò, sono anche stata a Londra a festeggiare il compleanno del mio amore in carne, ossa e occhi azzurri e, credetemi, non ho ancora avuto il tempo di scaricare le foto del viaggio (che voglio proporvi al più presto, insieme a un po' di storie culinarie!).
Allora, in mezzo alle tante foto smarrite, mi è venuto in mente che, da qualche mese, ovvero in tempi non sospetti, avevo voglia di raccontarvi la storia di una foto ritrovata.







































Quella che vedete qui sono io. Negli anni '70. E la foto che mi sono preoccupata finalmente di scansionare e, quindi, di preservare, io l'avevo persa l'anno scorso...
Girava per casa e ci piaceva, a me e Tonino, averla sotto gli occhi. Insomma, in realtà l'avevo regalata a Tonino e lui ce l'aveva sul suo comodino e un po' per casa. A me, che in genere sono più ordinata di un'archivista, piaceva che in fondo fosse così.
A un certo punto la foto girovaga viene meno. Cioè, mi accorgo che da un po' non mi capitava tra le mani, fino a che realizzo che in realtà ce l'eravamo persa.
Quest'estate, dopo circa un anno, torniamo da una giornata di mare e troviamo nella cassetta della posta una lettera da Camerino.
???
Tonino la apre (era indirizzata a lui), estrae un foglio scritto a mano e, nell'aprirlo, ne cade una foto. La mia, questa che non si trovava più. Dopo un attimo di 'smarrimento' e sorpresa, leggiamo e capiamo quello che era successo.
Da un paio di anni, Tonino raccoglie libri tra amici, parenti e conoscenti, ne fa un bel pacco (anzi, spesso, grazie alla generosità delle persone, anche più di uno) e lo spedisce al carcere di Ascoli Piceno, in dono per i detenuti. La direttrice di questo carcere è stata infatti subito molto disponibile nell'accettare la sua proposta e si preoccupa di smistarli anche al carcere di Camerino. 
Bene, la mia foto era andata a finire in un libro, "Leggero il passo sui tatami", che proprio un mese prima era stato inviato al carcere insieme a tanti altri. Un detenuto l'aveva letto e, nel trovare la foto, si è preoccupato di rispedircela, col pensiero del valore affettivo che potesse avere. 
La sua lettera e il suo gesto ci hanno subito parlato di una persona dal cuore profondo e da allora sia io che Tonino cerchiamo di avere un contatto con lui: gli scriviamo lettere su fogli di carta, riceviamo le sue, cariche di umanità e riflessioni.
R. per me è il contatto con un mondo a cui non avevo mai veramente pensato, se non negli atti di denuncia, di cui uno proprio di pochi giorni fa, da parte dell'associazione Antigone, del nostro sistema carcerario. Ma R. per me non è solo una persona che sta vivendo un'esperienza tra le più dure che la vita possa riservare. E' anche un amico, una persona che mostra per prima il suo cuore, che fa il primo passo e che si preoccupa per me.
Io gli sono profondamente grata. Per avermi fatto ritrovare la foto di me bambina, per il suo cuore, per l'opportunità che mi offre di scrivere su un pezzo di carta che lui conserva e rilegge, che io conservo e rileggo. Per il fatto di accettare entrambi la nostra amicizia, capaci di non giudicarci.

E sono profondamente grata anche a tutte le persone che aspettavano queste mie semplici righe, che mi hanno scritto e mi hanno colmato le insicurezze e i vuoti.

E in ultimo, ma non meno importante, sono profondamente grata a Maurizio, amico e sostenitore di questo spazio un po' strampalato, che mi ha offerto il suo tempo e la sua bravura per riprogettare l'intestazione del blog. Spero presto, non vedo l'ora anche io, vedrete il risultato del nostro lavoro. 
Che poi, ve lo confesso, il pensiero che il blog diventi ancora di più l'insieme di una condivisione, dei miei post, dei vostri stupendi commenti, dei contributi grafici degli amici, mi piace troppo, troppo...


10 novembre 2012

Avviso ai naviganti.

Cari e care, per qualche ora ho temuto che questo blog, il lavoro, la passione di quasi due anni fossero andati perduti in un click. Chi sta passando di qui da ieri non ha trovato praticamente più nulla di tutto quello che era la parte grafica. Niente più foto né disegni né banner dell'intestazione.
Questo a causa del fatto che mi è venuta voglia di diventare un po' meno difficile nei confronti di tutti quegli strumenti che in rete ci permettono di 'socializzare', ovvero condividere il nostro lavoro. Ho creato infatti un mio semplice profilo su Google+. All'interno di questo profilo mi sono apparsi automaticamente degli album.  Tra questi, uno che conteneva oltre 500 foto, una specie di storico di tutte le immagini viste e selezionate in rete. In più, scorrendo, sempre nello stesso album, anche foto e banner del blog. Mi son detta che non me ne sarei fatta nulla in quello spazio di un simile archivio e in un click ho eliminato questo album.
Sarà la mia ingenuità, ignoranza, mancanza di familiarità, ma mai e poi mai avrei immaginato che un'azione compiuta su google+ avrebbe potuto cancellare tutto, proprio tutto del mio blog, su blogspot. Io sono inesperta, ma francamente mi sembra assurdo che non sia comparso un avviso. E non solo: non esiste un cestino! Nè su google nè su picasa, un cestino che permetta di recuperare e ripristinare gli elementi erroneamente cancellati...
E per dirvela tutta, il danno per cui ho visto tutto andare in cenere è legato anche al fatto che ogni foto scelta per la pubblicazione io non l'ho mai conservata in nessun altra cartella. Per me era questo lo spazio in cui conservare foto, ricette e pensieri. Avere una cartella che contenesse immagini di patate e melanzane non m'è mai passato per la testa, e, anzi, mi sembrava che in quelle foto non ci fosse nulla di affettivo. Le ho sempre trovate pure bruttine, per cui, niente di prezioso.
Invece ora mi rendo conto di non aver valorizzato il mio impegno, di non aver riconosciuto una loro bellezza e dignità ad immagini su cui ho speso tempo e amore, solo perché non le consideravo all'altezza delle belle foto che vedo nei miei blog del cuore.
A dirvela tutta, non mi va neanche troppo di stare a trarre la morale e fare buoni propositi per il futuro. E' successo questo proprio nel momento in cui stavo cominciando a fare dei passi per  crescere e quindi non mi va per niente di fermarmi. 
Sono riuscita a recuperare delle foto su google immagini, digitando il nome del mio blog. Rimarranno in rete ancora per poco, quindi le ho salvate e sto riaggiornando ogni post. Non è però possibile cambiarne la dimensione, vengono sgranate, quindi ora mi devo accontentare di averle piccole. Tranne quelle poche che avevo sul telefono, che ho ripubblicato invece senza difficoltà.
Beh, è sabato sera e sono a casa da sola a rimediare ai miei pasticci. Stavo per piangere prima. Ma allo stesso tempo mi sento come se avessi capito di amare tanto qualcosa proprio nel momento in cui ho avuto paura di perderla per sempre. E questo è anche incredibilmente romantico.

7 novembre 2012

Passatina di ceci, quella buona mangiata a Monti.



Accade a volte che da questo diario, intimo e condiviso allo stesso tempo, si esca fuori, nel mondo reale, a incontrare persone. Accade che si stringano amicizie e che certi luoghi della città diventino uno spazio per condividere sentimenti.
E' così che un sabato mattina di settembre mi sono trovata a passeggiare a Monti, rione storico di Roma, per incontrare Serena, la signorina pici e castagne.
C'era ancora caldo e in Via Urbana poche persone. Vedermela davanti è stato come incontrare l'amica di banco del liceo: una persona che mi sembrava di conoscere da tempo, un accento toscano immaginato che si rivela vero appena ci salutiamo. E un sorriso che gli illumina tutto il viso, sbarazzino coi capelli corti.
Ho scoperto di avere di fronte una ragazza piena di amore per le cose belle e buone e una gran conoscitrice di questa città che è ancora tanto inesplorata per me. Del resto mi ha invitata a mangiare in un posto che mi ha fatto sentire piena di stupore. Lì abbiamo potuto curiosare e parlare e gironzolare tra piante aromatiche, attrezzi da giardino, oggetti dei desideri e spezie e sali. Il posto si chiama Aromaticus e Serena ha fatto molte belle foto che potete vedere nella sua pagina dedicata al nostro incontro. 
Abbiamo anche mangiato, of course! Io non potevo non replicare ai miei fornelli una delle cosette speciali che preparano lì: una passatina di ceci arricchita con pomodorini secchi ( e a casa ne ho un barattolo regalato dalla mamma di Tonino, fatti da lei quest'estate al sole di Calabria), pancetta croccante e triangoli di pane carasau fritto.
Dovendola condivedere con un vegetariano, in quella di casa è sparita la pancetta croccante (sob, grande inconsolabile perdita) e ho sostiuito il pane carasau con tortillas di mais, così abbiamo eliminato pure il glutine (ma dove mi porteranno, questi salutisti??).
E per dirla tutta, mi sono pure decisa a pubblicarla su invito del mio amico Giuliano, che giustamente m'ha fatto notare che su queste pagine spuntano solo carboidrati! 
A proposito, sono molto felice in questo periodo del fatto che molti miei amici mi abbiano 'scoperta', visto che la mia timidezza mi porta pure a non parlare quasi mai del blog, pensando che non importi a nessuno! Grazie amici cari...:)


ingredienti
450 g di ceci già bolliti
1 patata (facoltativa)
mezzo litro di brodo vegetale
8-10 pomodorini secchi
una tortillas di mais ( o piadina, o pane carasau)
sale
olio e.v.o. + olio di mais se si vuole friggere la tortillas

Cuocere a fuoco lento i ceci e, se si vuole, una patata tagliata in pezzi in mezzo litro di brodo vegetale e un po' di sale. Quando il brodo sarà quasi asciutto (circa 20 minuti), togliere dal fuoco e passare al minipimer. Condire con un filo di olio a crudo e versare nelle ciotole. Aggiungere i pomodorini  secchi tagliati a metà e la tortillas tagliata in triangoli. Se si vuole, si possono friggere i triangoli per pochi secondi in olio di mais prima di finire in ciotola.

24 ottobre 2012

Focaccia di Recco, un giorno d'estate.



A quanto pare l'estate ci sta per abbandonare. Sabato pomeriggio siamo stati in gita al lago e abbiamo fatto un picnic condividendo le sponde con un certo numero di persone che prendevano il sole in costume. Il mio cane, che è un pastore e quindi non troppo appassionata di acqua, si tuffava allegramente e restava a mollo guardandoci interrogativa: "Ma come, voi no?".
Tuttavia oggi, 24 ottobre, pare davvero che sia l'ultimo giorno d'estate. La notizia m'è arrivata all'improvviso e, nell'imminenza del cambiamento, un po' me ne sento dispiaciuta. Le mie invocazioni all'autunno, ai temporali, ai cardigan, ai tappeti di foglie sgargianti mi sembrano ora una gran mancanza di riguardo a un tempo bizzarro, è vero, tuttavia carico di luce e calore.
E come in ogni addio che si rispetti, per un attimo ti passano davanti certe cose che al momento, a viverle, sembravano quasi banali.  
Per questo motivo non voglio arrivare ai temporali e ai miei amati stivali di gomma lasciando nel cassetto la ricetta di questa focaccia che ci ha reso felici durante le vacanze. Davanti a giornate trascorse serene nella casa dove sono cresciuta, senza il becco d'un quattrino, con una caviglia fuori uso e le paturnie, seppure tenere, èh, di mia nonna. Giorni che a ripensarci mi sembrano perline colorate, dove pure un vecchio film e un dolce rustico di more ti regalano la ricetta della felicità.
Questa focaccia la mangio spesso quando non porto il pranzo in ufficio e passeggio fino a quel posticino 'particolare', quello di regin-principesse di cui vi raccontavo qualche tempo fa e che, lo ammetto, ha il merito di farmi scoprire cose buonissime. 
La focaccia di Recco, detta anche fugassa co formaggio, ha dato praticamente lustro a questa cittadina ligure, tanto da essere diventata meta di turismo internazionale grazie proprio alla bontà e alla fama di questo prodotto.
E' facilissima e veloce, l'ho rifatta anche qui a Roma e credo diventerà  una specie di tradizione di famiglia. Anche se rifacendola il risultato è stato lievemente diverso, dovuto, credo, al fatto che ho un forno meno buono di quello della mia mamma. Il segreto sta infatti nella cottura, che deve essere fatta alla massima temperatura, possibilmente senza fughe di calore, in un tempo il più breve possibile. 

ingredienti
400 g di farina di forza
250 ml di acqua
40 ml di olio evo + 50 ml per spennellare
10 g di sale
400 g di crescenza (o stracchino)

In una ciotola versare l'acqua e l'olio e sciogliervi il sale. Unire, impastando, poco alla volta la farina. Lasciare riposare  l'impasto per almeno due ore, avvolto nella pellicola, in un ambiente fresco.
Trascorso il tempo di riposo, stenderne metà su una superficie leggermente infarinata, creando una sfoglia sottile un paio di centimetri. Ci si può aiutare prendendo l'impasto coi palmi delle mani, lasciandolo scivolare da un palmo all'altro perché si allunghi. Disporre la sfoglia su una leccarda precedentemente oleata. Farcirla con la crescenza, disposta in tanti pezzi a poca distanza gli uni dagli altri.
Stendere l'altra metà dell'impasto, ottenendo una sfoglia, se possibile, ancora più sottile e coprire la base. Tagliare la pasta in eccesso e fare aderire bene i bordi ripiegandoli. Pizzicare con le dita la superficie della focaccia, così da formare una serie buchi che eviteranno alla pasta di gonfiarsi in cottura. Spennellare tutta la superficie con olio e spolverare con qualche presa di sale fino. Cuocere in forno preriscaldato a 250°C per 10/15 minuti.











16 ottobre 2012

Sockerbullar. Ovvero i miei panini dolci di Skansen.



Eccomi, anche quest'anno desidero contribuire  anche io al World Bread Day in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione
E siccome è una giornata mondiale, appunto, e non finisco mai di stupirmi di quanto in ogni luogo mi trovi si sfornino pani dal profumo e dal sapore indimenticabile, per quest'anno lascio la splendida romagna con i suoi crescioni ripieni e vado in Svezia dai Sockerbullar, ovvero panini dolci al cardamomo che per l'occasione presento in una versione tra le mie preferite.
Si tratta dei Vaniljfyllda sockerbullar, un nome non semplicissimo per noi, ma in compenso davvero facili da realizzare.
Li ho mangiati per la prima volta a Skansen, un'isola che compone la città di Stoccolma e che accoglie il più grande museo a cielo aperto d'Europa. 
Era poco prima di Natale quando approdammo su quest'isola con un tram pieno di gente allegra e chiusa in tute da neve di tutti i colori. 
E' tradizione infatti andare lì per il famoso mercatino di Natale, ma anche per sentire i cori che spuntano tra le case che ospitano gli antichi mestieri e camminare col freddo che ti porta l'odore degli abeti. Per fermarsi poi a mangiare panini e zuppe calde o a ballare e cantare tutti in cerchio. E io lo feci...
Proprio all'inizio di questo splendido parco, c'è una casetta piccola piccola che ospita un piccolo forno. Che sforna pani e panini dolci di ogni sorta e che tutti si fermano a comprare appena arrivati. 
Tra questi ci sono anche i sockerbullar ripieni di crema alla vaniglia. 
Ho scelto questi panini per festeggiare il pane e la sua formidabile importanza perché per gli svedesi i bullar esprimono un modo di vivere: appena dolce, morbido e da assaporare godendosi un momento di gioia.
Mi piace tanto quello che ho vissuto lì, ho sognato di esserci molte volte e ho avuto modo, anche se per poco tempo, di apprezzare la loro iniziale ruvidezza che si apre sempre in un sorriso, i bambini che fuori dall'asilo giocano imbacuccati sotto una pioggia incessante senza apprensioni, i cani che entrano in negozi e mezzi pubblici, la mancanza di smancerie mascherate, un uomo brillo che senza che nessuno glielo chiedesse ci ha fermato e mandato a mangiare nel luogo migliore della città (a prezzi di tutto rispetto!). E tanto altro che rimane un po' segreto un po' in disparte, ma non meno intenso.
Allora se penso di rendere omaggio a una cosa tanto importante quel è il pane, quest'anno mi viene di pensare proprio ai piccoli panini e a un modo dolce e gioioso di vivere.




ingredienti
360 g circa di manitoba
60 g di burro
1 uovo
25 g di lievito di birra
50 g di zucchero di canna
150 ml di latte
mezzo cucchiaino di sale
8/9 bacche di cardamomo

per la crema alla vaniglia
3 tuorli
mezzo litro di latte
2 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di farina
mezza stecca di vaniglia


Giornata Mondiale Pane 2012 - 7 ° edizione!  Cuocere pagnotta di pane il 16 ottobre e blog su di esso!Prelevare dalle bacche di cardamomo i semini e pestarli in un mortaio. Mettere sul fuoco il latte con i semi ridotti in polvere  e scaldare fino a una temperatura di 36-37°C. Sciogliervi il lievito di birra e attendere un paio di minuti che si attivi.
Versare il latte con il lievito sciolto in un contenitore, aggiungere, amalgamando, lo zucchero, l'uovo, il burro ammorbidito e, infine, il sale. Versare poi un po' alla volta la farina, e lavorare finché risulta un impasto liscio e solo un po' appiccicoso. Infarinare leggermente il piano di lavoro e formare un cilindro dal quale andremo a ricavare circa 9/10 pezzi con cui formeremo delle palline. Lasciarle lievitare per un paio di ore, fino al raddoppio, in teglie rivestite di carta da forno, coperte con un panno. 
Nel frattempo preparare la crema: intiepidire il latte con i semini prelevati dalla stecca di vaniglia. In un recipiente antiaderente amalgamare i tuorli allo zucchero, lavorandoli un po' con una frusta a mano. Unire e amalgamare bene la farina e versare il latte tiepido a filo, girando. Mettere sul fuoco e, sempre girando, attendere l'ebollizione. Far bollire due o tre minuti e spegnere.
Quando in nostri sockerbullar saranno raddoppiati, possiamo farcirli di crema con l'aiuto di una siringa per dolci.
Mettere in forno preriscaldato a 180°C per 12/14 minuti, o finché non saranno dorati. Una volta freddi spolverarli di zucchero a velo oppure passarli nello zucchero semolato.



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